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ROMA - Dopo quello di Google, ecco arrivare l'Applegate: appena ultimata l'indigestione di dati illegalmente fagocitati da parte del motore di ricerca e del suo servizio Street View, il caldo estivo fa bollire un altro caso di voracità sistematica di dati personali nei confronti degli utilizzatori di iPhone e iPad.



La storia comincia con una interpellanza bipartisan degli onorevoli Ed Markey (democratico della Louisiana) e Joe Barton (repubblicano del Texas): i due membri della Camera dei rappresentanti Usa chiedono di sapere cosa stiano combinando Steve Jobs e i suoi con l'applicazione CoreLocation e con altri eventuali software installati all'interno dei prodotti etichettati con l'inconfondibile mela. I parlamentari statunitensi – sbigottiti dopo aver letto un'inchiesta giornalistica pubblicata dal Los Angeles Times – prendono atto della presunta raccolta e classificazione del posizionamento degli utenti di apparati hi-tech Apple ed esigono chiarimenti immediati.
In una versione della propria disciplina in materia di privacy aggiornata a giugno, l'azienda di Cupertino ha aggiunto un paragrafo in cui si legge che – una volta che l'utilizzatore ha aderito alle condizioni di contratto – la Apple e una non meglio specificata torma di soggetti "partner e licenziatari" possono raccogliere e immagazzinare informazioni personali relative alla localizzazione geografica degli utenti.
L'adesione a nuove regole è pressoché automatica: ogni volta che un utente cerca di scaricare un'applicazione o un brano musicale dall'iTunes store, deve confermare l'accettazione dei termini di utilizzo e non può astenersi da simile incombenza perchè altrimenti non può portare a termine il download richiesto.
Le informazioni sul posizionamento di chi adopera iPhone e iPad sarebbero anonime, almeno secondo quanto dichiara Bruce Sewell, numero due della struttura legale di Apple.
Alla base dell'iniziativa lo sforzo di integrare e potenziare i propri database relativi ai ponti radio delle reti cellulari e alla dislocazione di hotspot WiFi.
Apple il 12 luglio ha inviato una lettera di 13 pagine per replicare ai quesiti di Markey e Barton: le risposte fornite consentono di scoprire che la questione riguarda iPhone 3G, iPhone 3GS, iPad Wi-Fi + 3G, nonché altri modelli di apparati Mac che – pur precedenti – utilizzano Snow Leopard e persino computer Windows su cui "gira" il browser Safari 5. Apple dichiara che la raccolta sarebbe cominciata nel gennaio 2008, ma non fornisce riscontro sul numero delle persone i cui spostamenti sarebbero stati "tracciati" (rinviando a quanto risposto alla domanda 3 dove non viene comunque dato esito in proposito).
La vicenda viene considerata dai "buonisti" come il naturale rovescio della medaglia del servizio "Find my iPhone" che aiuta il proprietario a rintracciare il prezioso telefonino smarrito o rubato. Un simile "pronto soccorso", però, dovrebbe attivarsi dopo la denuncia dell'interessato e non riguardare l'intera vita del cellulare e, soprattutto, di chi lo possiede.




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